sabato 21 aprile 2012

Studio di un'opera dal libro: "Architettura e modernità" di A. Saggio








Architettura e modernità” di Antonino Saggio



Il testo copre un arco temporale molto ampio, circa ottanta anni. Le date, come le parole, sono importanti e l’autore sembra riconoscerne il valore: ogni parte del libro ha infatti una datazione storica. La suddivisione temporale appare essere un primo elemento di comprensione della struttura.

Ottanta anni di storia dell’architettura sono qui sintetizzati in otto parti di limitata ampiezza: l’autore ha fatto una sintesi, certo, ma soprattutto delle scelte.

Per comprenderle, ci aiutiamo, dopo i numeri, con le immagini. Sfogliando il testo scopriamo che esse non sono scontate, ma accuratamente selezionate; raccontano il libro, prima ancora delle parole.

Le parole, i titoli, i paragrafi, i nomi permettono di intendere profondamente ciò che le immagini e le date fanno solo intuire. Esse consentono di dedurre quel codice interpretativo che l’autore attua per spiegare un processo, definito “rivoluzione”. L’informatica e l’informazione hanno provocato un mutamento profondo nelle nostre vite, comportando il vacillare, se non la deflagrazione, del modello precedente, comunemente assunto.

Il libro è un viaggio attraverso l’architettura, dove forme e idee si spiegano vicendevolmente. E’ un percorso, apparentemente lineare, ma ricco di rimandi ed analogie: un continuo guardare al prima per spiegare il dopo.

Architettura e Modernità tenta di aggiungere un tassello mancante alla storia dell’architettura, ricerca il filo conduttore capace di spiegare la presenza del quarto potere – l’informazione – nell’architettura contemporanea.



Il libro si articola in otto grandi capitoli, secondo un’impostazione di tipo cronologico: gli anni della macchina (1919-1929); l’era dell’individualità (1929 – 1939); la ricostruzione del significato (1945- 1956); gli anni del Big Bang (1957 – 1966); gli anni del linguaggio (1968 – 1977); gli anni dei contesti e dei palinsesti (1978 – 1987); il successo dell’architettura nel mondo (1988 – 2000); la rivoluzione informatica (dopo il 2001).




Dal capitolo: L’era dell’individualità: Mr Wright. La sovranità dell’individuo



Negli anni ‘30 è venuto il tempo dell’ ”individualità”, animato dall’anelito di alcuni grandi intellettuali, al di là delle intrinseche diversità, a coniugare le rivoluzionarie conquiste della Avanguardie e, oltreoceano, dell’International Style, con una vocazione più personale, poetica e “geograficamente specifica” del fare architettura (Aalto, Terragni, Wright).



Wright pioniere



In Frank Lloyd Wright la parola orizzonte assume un peso decisivo in entrambi i suoi significati:l’orizzonte su cui converge una visione concreta dell’architettura e della natura, ma anche un orizzonte inteso in senso metaforico che direziona le mete e i principi dell’esistenza.Nelle opere di Wright è presente un’idea sconfinata di orizzonte terreno; uno spazio senza confine. “La linea orizzontale della libertà”, come scrisse, è il respiro stesso della sua architettura. Insieme a questo respiro panteista, lo sguardo di Wright è rivolto alla ricerca dei valori fondamentali dell’esistenza: l’audacia, la sincerità, la fede e soprattutto l’amore per la natura.



Organicità e struttura



Wright nasce nel 1867, e nell’arco di settant’anni realizza circa seicento opere e un migliaio di progetti che si possono far ricadere in almeno quattro fasi.

La prima, delle Prairie Houses, arriva fino al 1909; la seconda si estende sino al 1932 e la terza,delle grandi invenzioni, arriva sino al 1938; l’ultima si conclude con la morte nel 1959.

Per capire l’origine e il primo sviluppo del suo lavoro è utile un raffronto per contrasto con il disegno della casa Dom-ino di Le Corbusier, una struttura puntiforme che sorregge lastre piane. Nell’Ottocento si brevetta il cemento armato e viene affinata la tecnica costruttiva a ossatura metallica. In America lo sviluppo dello scheletro metallico portante presiede alla nascita del vero tipo americano: il grattacielo. La ricerca di una impostazione congruente a questa nuova tecnica costruttiva si riscontra in Louis Sullivan, nel cui studio associato con l’ingegner Adler il giovane Wright lavorò dal 1886 al 1893. La parola chiave è Constitutional: l’ornamento di un edificio,la composizione unitaria delle sue sequenze, gli usi, devono essere “costituzionalmente” legati alla natura della struttura a scheletro e alla sua tensione alla verticalità. Insomma la forma deve seguire la funzione, intesa anche come “funzione portante”.

Wright avrà sempre una forte ammirazione per Sullivan e la relazione fra questi due personaggi ruota intorno a due concetti fondamentali: l’uno è quello di sincerità, l’altro è quello di organicità. Entrambi hanno al centro il nesso struttura-architettura ma Wright fa in modo che struttura e riempimenti non siano dipendenti l’uno dall’altro ma “interdipendenti”.

In Wright ritroviamo un concetto di “interdipendenza” che vede le parti strutturali e le parti non strutturali che vengono a far parte di un sistema unitario di creazione e di articolazione. Il rapporto struttura-riempimento non è deciso una volta per tutte o addirittura teorizzato, ma disegnato, concepito, sagomato “volta per volta” in ragione di specifici obiettivi.



La griglia spaziale



In Wright la sincerità presiede le scelte delle sue case: i materiali che si rivelano nella loro diversa natura, le espressioni autonome delle parti, il ruolo strutturante del centro spesso attribuito all’articolazione della zona del camino, le falde protettive e poco inclinate dei tetti, l’abbraccio della natura attraverso lo sporgersi dei volumi e lo slanciarsi dei muri. E, all’interno, una serie di ambienti fluidi che fanno scorrere la vita invece di chiuderla in tante scatole. Spazio, luce, struttura, impianti, arredi si fondono.

L’aspetto del “metodo” è invece un altro dei pilastri su cui si fonda la sua personalità creatrice che oltre alle tensioni naturalistiche e filosofiche ha un altro centro fondativo proprio nel processo assemblatorio che gli deriva dal famoso gioco infantile delle costruzioni di Friedrich Frobel.

Anche in Wright ritroviamo una griglia per progettare i suoi edifici ma la sua non è una griglia strutturale ma si tratta di una “griglia spaziale”. La vera rivoluzione della Case delle praterie non è nell’adottare un “tipo” e meno che meno un “modello”, bensì un metodo. Ne nascono moltissime opere dal 1893 al 1909: la Robie (Chicago, 1908), la Martin (Buffalo, 1904) o la Coonley (Riverside, 1907-09).

Nel 1909 si chiude una fase della vita di Wright e a partire da una famosa mostra a Berlino del 1910 il lavoro delle Prairie influenza gli architetti europei. Colpisce lo slancio orizzontale, la purezza e la sincerità dei materiali, la differenziazione tra schermi e strutture, la rottura della scatola, la possibilità di aprire gli angoli e risucchiare la vista, l’idea di spazio quale motore di un’architettura che si muove da dentro a fuori. Sono idee che influenzano Gropius, Mendelsohn, gli architetti della rivista “De Stijl” e Mies. Wright è il Cezanne della nuova architettura.



Salti in avanti



Nel 1932, quando Johnson e Hitchock aprono la mostra sull’International Style e Wright è etichettato come il più grande architetto dell’Ottocento. Ma negli anni Venti Wright costruisce poco; l’unico ciclo consistente di realizzazioni sono le ville californiane. Wright, tra il 1932 e il 1938 capisce come legare le proprie conquiste spaziali ai materiali nuovi (profilati, vetri, cemento armato), come adottare un sentire più astratto per rafforzare il gradiente di espressività dell’architettura in direzione antiromantica ma senza perderne i propri valori tattili.







La città di Wright



Gli anni seguenti il 1929, anno del crollo in Borsa di Wall Street, sono stati segnati da un’intensa crisi produttiva anche per Wright il quale però progetta, dal 1932 al 1935, la sua grande città Broadacre City. Questa si presenta come l’opposto della città lecorbusieriana di tre milioni di abitanti: quanto quella era basata su un’idea di definizione di confini, di zonizzazione per aree omogenee, di “contrapposizione” tra parti, funzioni, volumi e suolo quanto quella di Wright è pulsante, diffusa, immersa, dispersa, organicamente calata nel territorio. La griglia spaziale di Wright è caratterizzata da tessiture diverse di colori e superfici e da un’idea di fasce funzionali che si combinano insieme senza alcuna rigida zonizzazione.

Alcuni grandi elementi rompono la tessitura: la collina con a ridosso le grandi attrezzature per lo sport e il fiume. L’idea di base della città è quella della bassa densità, che si esplica attraverso il concetto di dare a ogni casa un acro e nel fatto di vedere nell’automobile uno strumento di autonomia e indipendenza perché la città nasce da un’idea di movimento.




L’abitazione “usoniana”



Negli anni Trenta, in piena depressione economica, Wright orienta invece la propria ricerca verso il tema della casa a costo moderato e chiama la propria proposta Casa usoniana, che in fondo vuol dire americana, e realizza molte opere a partire da una prima idea cui generalmente si attribuisce il germe. L’idea e i principi fondamentali sono tutti definiti nella Jacobs House del 1936 a Medison.



“L” come casa



Dopo aver realizzato centinaia di costruzioni domestiche, Wright arriva a un punto. Una geometria di base da tenere a portata di mano ovvero lo schema a “L”.

Grazie alla sua doppia direzione, la pianta è accuratamente organizzata secondo aree funzionali separate, con la camera da letto e gli ambienti di pranzo soggiorno completamente aperti verso il giardino, in cui si aprono i lati interni della L, mentre i lati verso la strada o le strade sono quasi completamente chiusi.

Questo schema è fondamentale nell'impianto dell'abitazione wrightiana in quanto evidenzia dei vantaggi rispetto ad uno schema rettangolare:
- è estendibile lungo le ali;

- è suddivisibile in due ambiti d’uso;

- è spazialmente articolata nei rapporti con l’esterno;
- è logicamente orientabile rispetto all’irradiazione solare e al clima.

Ogni spazio è calibrato al centimetro per ottenere il massimo dell’economia nella costruzione e negli impianti ma comunque il tutto alla fine crea un’emozione spaziale o “atmosfera”.
Il punto d'incontro delle due braccia costituisce il nocciolo centrale, vero e proprio motore dell'abitazione, il principio organizzatore, cuore distributivo ma anche impiantistico. Da qui si sviluppano nelle due ali la zona giorno e la zona notte.











Keep piling



Nel clima sociale del New Deal, Wright si impegna anche nel dare una decisa svolta espressiva. Si tratta della messa a profitto del significato e delle potenzialità dell’astrazione. Wright sente che il mondo della macchina comporta una semplificazione dell’immagine in una direzione antiromantica che catturi le tensioni mai composte della contemporaneità. Egli assorbe questi enzimi per usarli naturalmente in un sentire “organico” così la sua architettura non sarà mai “oggetto” (meccanico, autonomo), ma “essere” (vivente, naturale e appunto, organico). La strada verso l’astrazione comporterà tre conseguenze:

- l’acquisizione di una forza spaziale ancora maggiore nelle sue opere che si slanciano completamente liberate e librate nello spazio;

- la riduzione degli elementi iconici e delle partiture geometrico-decorative;

- il rafforzamento per contrasto dei diversi materiali.

Un edificio chiave per capire questo processo è il Johnson Wax, un edificio per uffici ideato nel 1936. L’idea di base è la medesima: la creazione di uno spazio sacrale in cui la luce dall’alto celebra il lavoro, effetto ottenuto grazie ad un movimento libero e fluente. I corpi si avvolgono, si slanciano, si muovono fluidamente. Tutti i dettagli sono accurati, pensati nell’insieme, mai aggiunti, come i pilastri ad albero, le fasce a sbalzo dei solai della torre, la curvatura degli spigoli dei solai.







Senza rete



Il plastico della città di Wright esposto a Pittsburg nei Grandi magazzini Kaufmann è l’occasione che fa nascere un nuovo piccolo incarico: una casa per il week-end da realizzare per Mr Edgar Kaufmann, nella grande proprietà di Mill Run, nella foresta della Pennsylvania. E’ un luogo affascinante, caratterizzato da alberi altissimi e grandi rocce e soprattutto da un piccolo torrente che forma una cascatella Wright visita e studia il luogo ma apparentemente per mesi non fa nulla. Il cliente una mattina telefona e dice che vuole vedere i disegni. Il maestro risponde “Venga”. Nelle otto ore di tragitto, Wright disegna dal nulla quello che è uno degli edifici chiave di tutta l’architettura. Prendono forma subito “a riga e squadra” alla scala 1:50 i disegni della casa, ovvero la trascrizione di mesi di pensiero sul progetto e sul luogo degli anni di riflessione su una progettazione rinata dopo il 1932. Quello che presiede quest’opera è un indicibile,incredibile senso di ricominciamento. È un re-inizio che per Wright è potuto avvenire a questo livello solo perché tra il 1929 e il 1932, negli anni della più profonda crisi professionale e spinto dalla nuova moglie, aveva scritto la propria autobiografia. Ma il senso di re-inizio di Fallingwater non è solo rispetto all’opera precedente ma anche rispetto ad alcune armi di progetto sin lì elaborate: ora troviamo il rifiuto per la griglia, troppo forte il senso spaziale, l’idea di slancio nello spazio per essere “reticolata”. E’ il segno dell’individuo che si lancia “senza reti” verso il nuovo della ricerca estetica.

Wright ora traccia ogni tre metri una linea ortogonale alla roccia e al flusso del ruscello e una linea rossa ad essa ortogonale. Si formano cinque campate o baie nella direzione nord-sud e una in direzione est-ovest che determinano la struttura dell’organismo. Alle baie si oppone un secondo sistema, quello spiraliforme che con scalettamenti aggrappa la casa alle rocce e definisce una corteccia verso nord. Nelle baie si organizzano i sistemi della struttura portante che, come tronchi, sorreggeranno in enormi sbalzi i cassetti delle terrazze che muovendosi ortogonalmente l’uno sull’altro nei diversi livelli slanciano l’opera all’esterno. L’idea del grande fusto e dei rami viene rappresentato nei tre materiali: i piani orizzontali ocra in cemento, le strutture verticali in pietra grigia, gli infissi, come le vene del sistema che innervano vita, rossi.

Fallingwater è un ricominciamento ma presenta comunque tutti i temi wrightiani come il senso di espansione nello spazio, il senso di costruzione centripeta a partire da un nucleo (il camino-cucina), la contrazione degli spazi e la loro successiva espansione sino a risucchiare l’esterno, il senso di protezione degli interni. Ma ora i contrasti tra verticale e orizzontale sono laceranti e l’insieme può essere sentito solo come evento. L’architettura è astratta, nuova, violentemente contemporanea. La natura non è più emersonianamente il termine di confronto della correttezza delle scelte ma è il campo entro cui le trasformazioni dell’uomo si collocano e si scontrano. Wright è della natura, ma è anche un uomo che vive delle tensioni e delle speranze dell’oggi nelle tecniche, nell’astrazione vorticosa e lacerante, nello slancio audace verso il domani.




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